Cosa rappresenta il cibo per te?
Cibo ed emozioni
Il cibo è solo nutrimento?
Il cibo assume una funzione biologica essenziale per l’uomo. Rappresenta il mezzo per soddisfare un proprio bisogno primario: la fame. E le emozioni?
La domanda che ci poniamo è: il cibo può essere ridotto quindi ad uno sterile mezzo utilizzato per soddisfare un bisogno primario? Assolutamente no. Il cibo rappresenta quindi sicuramente una fonte di nutrimento, su questo non ci piove. Assume però anche altri importanti ruoli nella nostra alimentazione.

Può diventare uno strumento di relazione con altri individui. Basti pensare ai pranzi e alle cene di famiglia o alle sagre paesane: dei veri e propri momenti di convivialità costruiti attorno al cibo.
Un’altra funzione che il cibo può assumere è quella religiosa: guardiamo ad esempio la Quaresima nella religione cristiana o il Ramadan in quella islamica. L’astenersi dal mangiare rappresenta per molte religioni la massima espressione della propria fede.
L’alimentazione però può anche assumere la vera e propria funzione di veicolo delle emozioni. L’emotività e l’assunzione di cibo spesso si ritrovano collegati e aggrovigliati in un complesso difficile da districare.
Ci sono situazioni però in cui il cibo, o la privazione di esso, diventano i veri e propri mezzi di sfogo di emozioni “negative”. Il primo esempio che possiamo fare è sicuramente quello dei disturbi alimentari. Spesso in questi disturbi l’alterato rapporto con il cibo parte da un’incapacità nel comunicare le proprie emozioni “negative” relativamente a determinati aspetti della propria vita. Così il controllo sul cibo esercitato nell’anoressia, o la perdita di controllo che si verifica nelle abbuffate diventano un vero e proprio mezzo per sfogare le proprie emozioni.
Avere una relazione sana con il cibo cosa significa per te? Le relazioni non sono mai facili, eppure rappresentano un aspetto fondamentale all’interno della nostra esistenza. Connettersi con il mondo esterno, con gli altri e con se stessi è un passo importantissimo per apprezzare le mille sfumature di quello che ti circonda. Non è mai facile: è normale sentirsi persi, abbandonati, confusi, agitati o turbati qualche volta. Hai il potere di fermarti, respirare e ripartire. Hai la possibilità di rialzarti quando cadi, consapevole di avere sotto ai piedi un trampolino di lancio per nuove occasioni, per nuove esperienze. Smetti di considerare le sconfitte come qualcosa di negativo: sono necessarie per maturare consapevolezza, per fiorire con più energia. Quando i rapporti affettivi risultano turbati, mente e corpo soffrono. Ancora di più se il rapporto colpito è quello con noi stessi, esteso ad ambiti che ci riguardano nel quotidiano come l’alimentazione, la percezione del corpo e attività di studio, lavorative o di svago. Una relazione disarmonica con il cibo porta alla perdita di quella gioia innata che deriva dal mangiare, provata durante l’infanzia grazie a un’istintiva consapevolezza del senso di soddisfazione legato all’alimentazione.
È importante continuare a diffondere certi messaggi, anche in chiave ironica, con l’obiettivo di decostruire tutti quei post/articoli che propongono i metodi più bizzarri per sopprimere l’appetito ed evitare determinati alimenti, perché considerati “proibiti”, “poco sani” o ancor peggio uno “sgarro”. Le regole, le proibizioni e le restrizioni non aiuteranno a stare meglio, al contrario, condurranno inevitabilmente verso lo sviluppo di un rapporto conflittuale con il cibo, che può risultare anche molto pericoloso. La ricerca persistente della magrezza/della perdita di peso, caratteristici della diet culture, ci hanno portato a dimenticare due elementi basilari nell’alimentazione: il piacere e la soddisfazione. L’assenza del fattore soddisfazione aumenta il desiderio. Restrizioni e privazioni trasformano il momento del pasto in un accumulo di paure, giudizi e sensi di colpa; il cibo non è più solo cibo e la fame diventa un problema da cui guarire. Se ti va del cioccolato, perché continui a scegliere qualcos’altro? Il pensiero di quel cioccolato continuerà a turbare le tue giornate, fino a diventare un’ossessione. Arriverà un momento in cui ti scontrerai con il tuo “alimento tabù” e non saprai fermarti alla quantità che potresti tranquillamente goderti ogni giorno. Ecco che hai l’impressione che quel cibo abbia un potere su di te, ti senti succube e, di conseguenza, sbagliato. Ti invito ad accogliere questi episodi come un segnale che indica qualcosa che non va, ma NON IN TE. Ti invito a ragionare con tutti i tuoi sensi, cercando di capire cosa richiede il tuo corpo (e la tua mente). Ti invito a goderti quello che mangi, a rendere il momento del pasto piacevole e non angosciante. Ricorda … solo tu puoi essere l’esperto di te stesso e del tuo corpo.
“In quest’epoca post-industriale“, scrive Jon Kabat-Zinn, “è fin troppo facile dare per scontato l’atto del mangiare, affrontandolo con un’enorme mancanza di consapevolezza e caricandolo di complicate valenze psicologiche ed emotive che oscurano, e talvolta gravemente distorcono, quello che invece è uno degli aspetti più semplici, basilari e miracolosi della nostra vita” (2008).
Dal momento che, notoriamente, il primo passo per risolvere un problema è la consapevolezza, credo sia utile chiarire il tipo di relazione con il cibo che ciascuno di noi può avere.
Secondo Jan Chozen Bays (2021), si può dire che abbiate una relazione sana con il cibo se:
- vi sentite contenti e pienamente coinvolti nella vita anche quando non state mangiando (il cibo non è la sola fonte sicura di piacere e soddisfazione);
- se non avete fame, non mangiate;
- smettete di mangiare quando siete pieni e siete disposti a lasciare qualcosa nel piatto;
- per diverse ore non avete fame e non pensate al cibo; questi intervalli sono inframezzati da momenti (pasti) quando invece avete fame e gioite nel mangiare;
- vi piace mangiare molti tipi di alimenti;
- avete un peso sano che resta tendenzialmente uguale o fluttua di massimo 2-3 kg. Non avete bisogno di pesarvi se non ogni tanto (ogni 5-6 mesi o una volta l’anno);
- non avete ossessioni sul cibo e non contate le calorie per decidere se potete “permettervi” di mangiare qualcosa oppure no (Jan Chozen Bays, 2021, p. 48).
Sfortunatamente, la maggior parte delle persone è più o meno lontana da questo modello di rapporto salutare con il cibo e con il proprio corpo. Non tutte, però, hanno necessariamente un disturbo alimentare; in alcuni casi si tratta di quello che potrebbe essere meglio definito come un problema o un sintomo alimentare. Ad esempio, Fairburn (2014) ci ricorda che “talvolta un’abbuffata è solo un’abbuffata“: la grande maggioranza delle persone che ha episodi di sovraalimentazione, in cui percepisce un’assunzione eccessiva di cibo fuori dal proprio controllo, non ha un disturbo alimentare.
“Tali abbuffate sono occasionali piuttosto che frequenti, non causano danni fisici e la qualità della vita delle persone non è compromessa“, scrive lo psichiatra, e aggiunge: “D’altro canto,esiste un numero significativo di persone le cui abbuffate interferiscono con la salute fisica e la qualità della vita. Per tali persone si configura un disturbo alimentare” (Fairburn, 2014, p. 25).
In conclusione, la nostra alimentazione non può mai essere semplicemente ridotta ad un’introduzione di calorie. La sfera emotiva può andare ad incidere su tante altre, come quella alimentare. È perciò davvero importante imparare ad ascoltare i segnali che ci mandano il nostro corpo e la nostra mente.

Cosa si intende per te con intuitive eating?
Intuitive eating significa alimentazione intuitiva. L’espressione si riferisce quindi alla capacità di metterci in contatto con i bisogni profondi e reali del nostro organismo, rispondendo con un’alimentazione libera da schemi, tabelle e teorie, un’alimentazione che segua puramente l’istinto saggio che alberga in ognuna/o di noi dalla notte dei tempi. L’intuitive eating è un approccio all’alimentazione che tiene conto delle competenze innate del nostro corpo nel comunicare ciò di cui ha bisogno nelle giuste quantità e nel momento esatto in cui ne ha bisogno.
COme ricostruire la fiducia in se stessi e nel cibo?
Imparare a riconoscere e onorare la fame rappresenta il primo passo per ricostruire la fiducia in se stessi e nel cibo. Ogni volta che sperimenti la fame biologica e rispondi onorandola con del nutrimento, costruisci fiducia e aumenti la connessione con il tuo corpo. Ricorda che siamo tutti diversi e non esiste un modo giusto o sbagliato per interpretare la fame:
5 pilastri sui quali costruire una solida e benefica pratica di alimentazione intuitiva.
- mettersi in ascolto dello stimolo della fame ed assecondarlo subito, senza arrivare a tavola con una fame mostruosa che offuschi i messaggi del nostro corpo;
- evitare di contare calorie, pesi e quantità ed avere fiducia nel nostro sentire;
- masticare con calma e a lungo per permettere allo stimolo di sazietà di arrivare puntuale e sincero;
- scandire il ritmo del mangiare con il ritmo fame-sazietà, senza necessariamente orari fissi (il bioritmo naturale si stabilirà da solo);
- smettere di trattare l’alimentazione come una discarica emotiva.
A cosa serve l'alimentazione intuitiva?
Un’alimentazione intuitiva aiuta a fare pace con il cibo, a metter fine alla guerra con il tuo corpo, imparando ad accettare la tua genetica, la tua impronta digitale, il tuo essere persona e non numero. Questi sono i 4 steps che caratterizzano il primo principio dell’alimentazione intuitiva, da scoprire e rendere propri. Filtra il caos giudicante della diet culture e affidati a te, che puoi capirti meglio di chiunque altro, insieme a qualcuno naturalmente che possa orientarti in questo percorso di consapevolezza.
quali domande porsi?
- Ho fame?
- Dove la sento la fame?
- Di cosa ha bisogno il mio corpo? Cosa sta chiedendo?
- Cosa sto assaporando in questo momento?
- Sono sazio? Quale parte di me è sazia?
- Che differenza c’è tra essere sazio ed esser soddisfatto?
Quindi cosa fare?
Ora è chiaro che alla base occorra assumere un atteggiamento mentale accogliente ed aperto, privo di giudizi e di sensi di colpa. Ascoltare con fiducia, deporre le maschere, abbandonare la fretta, prendere coscienza delle emozioni che si provano e da dove hanno origine per ritrovare la sacralità insita nell’atto del mangiare e ristabilire una connessione cristallina con la Natura ed il nutrimento da lei messo a nostra disposizione.
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