La selettività alimentare nello spettro autistico

Nel 2021, dopo la fine degli esami della Triennale, mi sono dedicata alla scrittura della Tesi di Laurea. Ho avuto modo di approfondire il tema della “selettività alimentare”, in particolare nei bambini autistici. Ho somministrato un questionario di circa 74 domande ai genitori/caregivers dei bambini autistici (il mio campione di studio si componeva di 122 soggetti).

Studi in letteratura hanno dimostrato che la selettività alimentare è un fenomeno che riguarda sia i bambini a sviluppo tipico che i bambini con disturbi del neurosviluppo e, in particolare, coloro con disturbo dello spettro autistico (a causa della loro alterata sensorialità ed elevata rigidità cognitiva).

Alimentazione: facciamo chiarezza | Vanity Fair Italia

Il momento del pasto 

Il pasto è un momento importante della routine quotidiana di ogni famiglia, poiché rappresenta un’occasione di relazione privilegiata tra genitori e figli in cui si ha la possibilità di sviluppare numerosi aspetti centrali della crescita del bambino e dell’interazione sociale. Durante il pasto, infatti, i bambini esplorano il cibo a livello sensoriale, acquisiscono progressivamente autonomia, fanno esperienza dei propri bisogni e gusti e aumentano la conoscenza di sé. Inoltre, la condivisione della tavola favorisce lo sviluppo di abilità come l’imitazione o l’interazione sociale e di scambi reciproci connotati da supporto, affetto e divertimento. Aspetto centrale del pasto è, ovviamente, l’assunzione di cibo e l’alimentazione: nel mangiare si realizza un bisogno fisiologico fondamentale, necessario alla sopravvivenza e, per questo, l’alimentazione assume una valenza educativa e sociale. Proprio per tale valenza, spesso i comportamenti disfunzionali presenti al momento del pasto determinano stress e preoccupazione che inficiano la qualità della vita del bambino e dell’intera famiglia. Numerosi sono i comportamenti disfunzionali che possono presentarsi durante il pasto: tra questi, la selettività alimentare rappresenta uno dei più invalidanti a causa delle possibili conseguenze sul piano nutrizionale e relazionale. L’ASD pone una grande “sfida” sanitaria ed educativa per i genitori e i caregivers, in quanto influisce su molti aspetti della vita quotidiana: proprio l’alimentazione e l’ora dei pasti sono particolarmente impegnativi per questi bambini e i loro familiari/caregivers (Curtin et al., 2015; Zobel-Lachiusa et al., 2015).

Alimentazione selettiva dei bambini: quando preoccuparsi e come intervenire  - Nostrofiglio.it

Che cos’è il disturbo dello spettro autistico

Il disturbo dello spettro autistico (ASD) è una disabilità dello sviluppo caratterizzata da deficit nella comunicazione, nell’interazione sociale e nei modelli comportamentali restrittivi/ripetitivi che compromettono il funzionamento sociale, professionale e quotidiano, che sono insoliti in termini di intensità e di concentrazione (American Psychiatric Association [APA], 2013): proprio per questi modelli comportamentali, insieme ad altre caratteristiche come la riluttanza al cambiamento e la difficoltà nell’elaborazione sensoriale, che includono un’iper o un’ipo-sensibilità agli stimoli sensoriali nell’ambiente, potrebbero spiegare questo comportamento alimentare idiosincratico (Raiten & Massaro, 1986; Ritvo and Freeman, 1977; Schreck et al., 2004). La prevalenza dell’ASD negli Stati Uniti D’America è approssimativamente di 1 soggetto su 68, ed è maggiormente comune nei maschi rispetto alle femmine. Il Center for Disease of Control and Prevention (CDC) ha scoperto che i ragazzi statunitensi hanno una probabilità circa cinque volte maggiore di ricevere una diagnosi di ASD rispetto alle ragazze, indicando che circa 1 ragazzo su 42 è attualmente diagnosticato con ASD. I recenti dati CDC sulla prevalenza dell’autismo indicano che, a partire dal 2015, questa cifra totale della popolazione potrebbe arrivare ad essere di 1 bambino su 45.

Autismo: stress e impatto sul benessere psicologico dei genitori

La persona autistica si caratterizza per un rapporto particolarissimo con il cibo, nel quotidiano ma anche nei momenti di convivialità fuori casa, con commensali più o meno occasionali. Studi in letteratura hanno dimostrato che la selettività alimentare è un fenomeno che riguarda sia i bambini a sviluppo tipico sia i bambini con disturbi del neurosviluppo (i bambini normotipici, in particolare in età prescolare, sono spesso definiti come “schizzinosi”, picky eater e da un punto di vista alimentare mostrano un atteggiamento di preferenza verso alcuni cibi e di rifiuto verso altri) e, in particolare, coloro con disturbo dello spettro autistico (a causa della loro alterata sensorialità ed elevata rigidità cognitiva). Sebbene questa selettività alimentare colpisca circa il 17% dei bambini, è stato riscontrato che colpisca oltre il 45% dei soggetti con disturbo dello spettro autistico (Schmitt et al., 2008). La letteratura scientifica evidenzia, infatti, come nei bambini normotipici le difficoltà alimentari siano intermittenti e transitorie; al contrario, le problematiche comportamentali legate alla selettività alimentare in bambini ASD tendono a mantenersi stabili nel tempo, con conseguenze negative per il loro benessere e la loro salute (rischio di apporto calorico inadeguato, di deficit nutrizionali (Bryant-Waugh et al., 2010; Kreipe & Palomaki, 1989) e di scarsa crescita. Per i bambini con comportamenti di selettività alimentare, il rifiuto di consumare uno o più gruppi di alimenti è comune e l’ansia insieme agli scoppi d’ira possono essere associati all’introduzioni di nuovi cibi. Inoltre, è stata documentata una maggiore incidenza di sintomi gastrointestinali nei bambini ASD: la frequenza riportata dai caregivers/genitori di sintomi, anomalie o disturbi gastrointestinali nei bambini ASD variano tra il 9% e il 70%. I comuni sintomi gastrointestinali riportati includono: costipazione, diarrea, dolore addominale, encopresi, gonfiore e malattia da reflusso gastro-esofageo. La ricerca indica che i bambini ASD e problemi gastrointestinali abbiano un rischio maggiore di sviluppare comportamenti problematici (come disturbi del sonno, autolesionismo e aggressività), rispetto ai bambini ASD che non presentano questi sintomi, insieme ad alterazioni della flora batterica intestinale. Sebbene queste differenze siano ora evidenziate in letteratura, la prevalenza di anomalie gastrointestinali nei bambini autistici non è ancora ben compresa.

I genitori e i medici spesso riferiscono che i bambini ASD sono troppo selettivi nei loro modelli alimentari: seguono diete meno varie, con pochissima frutta e verdura (Ahearn et al., 2001; Bandini et al., 2010; Cermak et al., 2010; Emond et al., 2010; Johnson et al., 2008; Ledford and Gast, 2006; Marí-Bauset et al., 2014; Martins et al., 2008; Ranjan and Nasser, 2015; Schreck et al., 2004; Sharp et al., 2013; Zimmer et al., 2012) e più prodotti come snacks o bevande zuccherate (poveri di nutrienti), con conseguente aumento dei livelli di selettività e monotonia degli alimenti assunti, mostrando un’avversione a determinati coloranti alimentari, odori, temperature e in particolare alle consistenze (nel 69% dei casi) (Cermak et al., 2010; Schreck et al., 2004; Schreck & Williams, 2006; Williams et al., 2005). Mentre i dati longitudinali sono limitati, due recenti studi suggeriscono che i comportamenti di selettività alimentare possono persistere nel tempo (Bandini et al., 2017; Suarez et al., 2014): pertanto, affrontare i fattori associati alla selettività alimentare può essere necessario per mitigare le comorbilità associate all’inadeguato apporto nutrizionale a lungo termine in questa popolazione. Il mascheramento diagnostico generato dal disturbo dello spettro autistico ha messo la selettività alimentare in secondo piano rispetto ai sintomi core che riguardano il deficit socio-relazionale, le stereotipie, le problematiche di linguaggio o rispetto agli stessi comportamenti-problema quali crisi di agitazione psico-motoria e ansia, che risultano essere fortemente debilitanti per le normali attività quotidiane. Da sottolineare, inoltre, che una percentuale di persone autistiche vive anche problematiche mediche (come l’epilessia) o autismo secondario dovuto ad altre cause genetiche, che spesso portano la famiglia a dover affrontare un enorme numero di problemi e conseguenti visite mediche. Il momento del pasto è stato quindi, per anni, trattato solo marginalmente alla fine di visite ambulatoriali o di day hospital, e comunque in modo non abbastanza appropriato da poter generare soluzioni valide per la famiglia. Anche la parte dedicata alla ricerca nel campo della selettività alimentare non ha ancora fornito sufficienti evidenze sia in ambito teorico sia riabilitativo rispetto a tale tematica, se messa a confronto ad altre dello stesso campo (basti pensare alle molte ricerche sulla parte genetica, di neuroimaging e di tecniche comportamentali precoci che possono determinare un miglioramento della sintomatologia).

Che cosa s’intende con selettività alimentare

Generalmente, mangiare selettivamente si riferisce ad una varietà di dieta limitata, cioè una gamma ristretta di alimenti che si è disposti a mangiare. Sebbene la selettività alimentare colpisca circa il 17% dei bambini, è stato riscontrato che colpisca oltre il 45% dei soggetti autistici. Diversi studi sui bambini autistici hanno mostrato la presenza di introiti non adeguati rispetto ai fabbisogni: in particolare l’esclusione di alimenti come frutta e verdura e alimenti più ricchi di proteine (Malhi et al., 2017), come legumi, pesce, carne e latticini e derivati. Negli ultimi anni, è emerso che la selettività alimentare negli individui ASD può essere correlata al processo di disfunzione sensoriale, nello specifico alla sensibilità sensoriale orale, con comportamenti di avversione nei confronti del colore, del gusto, dell’odore e della consistenza del cibo. Inoltre, è stata documentata una maggiore incidenza di sintomi gastrointestinali nei bambini ASD: sebbene queste differenze siano ora evidenziate in letteratura, la prevalenza di anomalie gastrointestinali nei bambini autistici non è ancora ben compresa.

La selettività alimentare è comune negli individui con disturbo dello spettro autistico (ASD) per tutta la durata della vita. Ancora prima di emettere suoni para-verbali, il bambino autistico fa capire chiaramente che la cucina può diventare un “campo minato” e quello che si trova nel piatto un’arma micidiale di ricatti e vessazioni: ci sono cibi che mai e poi mai possono essere proposti, altri tollerati, ma solo ogni tanto, altri che invece non possono mancare mai. La permanenza nel tempo e il rischio di esiti negativi evidenziano la necessità di un trattamento efficace e disponibile: gli interventi comportamentali sono ampiamente utilizzati per trattare l’alimentazione selettiva; tuttavia, la maggior parte di questi programmi richiede molto tempo, in genere non includono giovani adulti e non sono stati valutati per l’uso nelle impostazioni ambulatoriali. Nonostante l’impatto funzionale e il rischio di esiti negativi associati all’alimentazione selettiva nel corso dell’età, non sono disponibili trattamenti supportati empiricamente per bambini più grandi, adolescenti o adulti con o senza ASD.

Tra le caratteristiche del disturbo dello spettro autistico, nel DSM-V si ritiene che

  • eccessiva aderenza alla routine e pattern ristretti di comportamento possono manifestarsi con resistenza al cambiamento (ad esempio, stress in conseguenza a cambiamenti apparentemente piccoli, quale l’impacchettamento del cibo preferito…). Alcuni interessi e routine possono riguardare l’apparente iper o ipo-reattività agli input sensoriali, che si manifestano attraverso risposte estreme a specifici suoni o consistenze, a odori eccessivi o al tatto degli oggetti, a luci od oggetti rotanti e talvolta attraverso apparente indifferenza al dolore, al caldo o al freddo. Reazioni estreme o rituali che coinvolgono gusto, odore, consistenza o aspetto del cibo o eccessiva restrizione degli apporti alimentari sono comuni e possono rappresentare una caratteristica del disturbo dello spettro autistico (American Psychiatric Association [APA], 2013).

I bambini che non soddisfano i fabbisogni nutrizionali o energetici a causa della selettività alimentare, soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo evitante o restrittivo dell’assunzione (ARFID) (American Psychiatric Association [APA], 2013). Il potenziale di complicazioni mediche associat all’ARFID nei bambini ASD, come carenze vitaminiche o di minerali e una compromissione dello sviluppo osseo (Ekhlaspour, Baskaran, Campoverde, Sokoloff, Neumeyer & Misra, 2016; Hediger, England, Molloy, Yu, Manning-Courtney & Mills, 2008; Neumeyer, O’Rourke, Massa, Lee, Lawson, McDougle & Misra, 2015).

Pertanto, sebbene non costituisca un criterio diagnostico, l’aspetto di regolazione alimentare viene sottolineato nel DSM-V come una delle caratteristiche distintive del disturbo dello spettro autistico. Il fatto che i disturbi dell’alimentazione siano molto frequenti nei bambini ASD è stato evidenziato anche dalla ricerca di Seiverling, Williams e Sturmey (2010). C’è però da chiarire una differenza nel concetto di disturbo alimentare e di selettività alimentare:

  1. il primo termine si riferisce a un approccio al cibo e agli alimenti che presuppone un’alterazione delle normali abitudini alimentari accettate culturalmente in base al tempo e alla nazione di appartenenza;
  2. la selettività alimentare consiste, invece, in un’anomalia dell’alimentazione che comporta una forte rigidità nelle scelte alimentari, ossia l’assunzione di un numero limitato di alimenti, spesso meno di cinque cibi, accompagnata da una scarsa accettazione dei cibi nuovi da mangiare.

Definizione e prevalenza della selettività alimentare

Storicamente, l’alimentazione selettiva era così comune nei bambini ASD che era considerata un criterio per la diagnosi (Ritvo & Freeman, 1978). Generalmente, mangiare selettivamente si riferisce ad una varietà di dieta limitata, cioè una gamma ristretta di alimenti che si è disposti a mangiare. L’alimentazione selettiva è comunemente considerata uno dei comportamenti che possono cadere sotto la sfera di un problema o di un disturbo alimentare, in presenza anche di una compromissione della salute o sequele psicosociali (Bryant-Waugh et al., 2010; Kedesdy & Budd 1998).  Quindi, con “alimentazione selettiva” si intende una serie di comportamenti che limita l’assunzione flessibile del cibo: il repertorio alimentare è limitato, con selezione e rifiuto di alimenti basati su caratteristiche come consistenza, gruppo alimentare, colore o marca. Le richieste e le regole idiosincratiche guidano anche la selettività, incluso il modo in cui vengono preparati gli alimenti, le stoviglie e gli utensili utilizzati per servirli, e se gli alimenti vengono mescolati o toccati quando presentati. Il termine selettività alimentare (food selectivity) viene utilizzato per descrivere una vasta gamma di situazioni o comportamenti alimentari come:

  • presenza di un regime dietetico ristretto a specifiche categorie di alimenti;
  • diminuita varietà nella scelta del cibo;
  • rifiuto del cibo;
  • piluccare il cibo;
  • ristretto apporto calorico;
  • preferenza per una tipologia di cibo mangiata frequentemente;
  • problematiche al momento del pasto;
  • rituali e ossessioni intorno al cibo.

La selettività alimentare quindi, fa primariamente riferimento a due aspetti cruciali: da una parte la ristretta varietà di cibi assunti e dall’altra i comportamenti disfunzionali legati al momento del pasto. Per quanto riguarda l’insistenza nel mangiare una ristretta varietà di cibi, tipicamente la selezione viene effettuata dal bambino sulla base di caratteristiche sensoriali quali il sapore, il colore, la temperatura o la consistenza (Sharp et al., 2013). Viene riportata in letteratura anche un’alta frequenza di comportamenti disfunzionali durante i pasti, correlata all’intensità della selettività alimentare che causa, di conseguenza, elevati livelli di stress all’interno della famiglia (Curtin et al., 2015).

La prevalenza della selettività alimentare nei bambini con o senza ASD è difficile da stimare, in quanto non è stato ancora stabilito un modo coerente per definirla e renderla operativa: tuttavia, le stime attuali nell’ASD sono superiori al 15-20%, rispetto ai bambini con sviluppo tipico (Mascola et al., 2010; Zucker et al., 2015). Ledford e Gast (2006) hanno esaminato una serie di studi e hanno stimato che i comportamenti alimentari problematici erano presenti nel 46-89% dei bambini ASD: in questi studi l’alimentazione selettiva si riferiva generalmente a frequenti rifiuti alimentari, a un repertorio limitato di alimenti, all’assunzione eccessiva di alcuni alimenti e all’assunzione selettiva di alcune categorie alimentari. I comportamenti disfunzionali si presentano in particolare qualora i caregivers propongano alternative ai rituali e al menù preferito: in risposta a questi comportamenti, gli adulti di riferimento possono cercare di convincere, consolare, sgridare e alla fine cambiare menù, adattandolo alle preferenze del ragazzo. Di conseguenza, il bambino impara a evitare il cibo sgradito emettendo comportamenti-problematici e l’adulto impara a evitare scenate ai pasti presentando solo menù graditi: questo circolo vizioso porta all’instaurarsi e al mantenimento di un’alimentazione inadeguata, con possibili ripercussioni a livello organico (mancanza cronica di nutrienti essenziali come sali minerali e vitamine, diminuizione o incremento ponderale eccessivo, stipsi) (Marì-Bauset et al., 2015). Le ricerche condotte sinora, che valutano la prevalenza della selettività alimentare nei bambini ASD, hanno mostrato risultati divergenti, con una variabilità che va dal 17 all’83% (Ahearn et al., 2001; Bandini et al., 2010; Collins et al., 2003; Cornish et al., 1998; Dominick, 2007; Field, Garland & Williams, 2003; Williams, Gibbons & Schreck, 2005; Kalyva, 2009; Klein & Nowak, 1999; Nadon et al., 2001; Schmitt, Heiss & Campbell, 2008; Schreck & Williams, 2006; Schreck, Williams & Smith, 2004; Suarez, Nelson & Curtis, 2014; Whiteley, Rodgers & Shattock, 2000; Williams, Dalrymple & Neal, 2000). Whiteley e colleghi (2000), ad esempio, hanno osservato che l’83% dei genitori di bambini ASD definisce il repertorio di cibi dei propri figli “molto ristretto”. Altri studi, invece, hanno riportato una percentuale inferiore: questo dato sui tassi di prevalenza potrebbe essere determinato dalle differenti metodologie che gli studi hanno utilizzato.

La maggior parte degli studi sull’alimentazione selettiva nell’ASD si è concentrata sulla prima infanzia e sui bambini in età scolare, sebbene diversi studi abbiano evidenziato che almeno un sottogruppo di soggetti adolescenti e giovani adulti ASD mostra una selettività persistente (Bandini et al., 2016; Fodstad & Matson, 2008; Kuschner et al., 2015). Pertanto, l’alimentazione selettiva è una preoccupazione dell’ASD sia nel periodo dello sviluppo che in quello della fase adulta.

Tipologie di selettività alimentare

La selettività alimentare non è un concetto unitario, ma comprende diversi pattern di assunzione del cibo e di comportamento. Molti studi in letteratura osservano, infatti, che la preferenza verso alcuni cibi è determinata da specifiche caratteristiche (Dominick et al., 2007; Schmitt et al., 2008; Schreck & Williams, 2006; Schreck, Williams e Smith, 2004; Whiteley, Rodgers & Shattock, 2000; Williams, Dalrymple & Neal, 2000). Nel 2000 Williams e colleghi hanno indagato le abitudini alimentari di 100 bambini ASD (range d’età: 1,8-10 anni) attraverso un’intervista ai genitori. Dai risultati è emerso come il 67% dei genitori riportava che il proprio figlio fosse “schizzinoso” nella scelta del cibo, nonostante il fatto che il 73% dei partecipanti dichiarasse di avere un buon appetito per i cibi di loro gradimento. Questo dato suggerisce che la selettività alimentare non è associata alla mancanza di appetito, ma possono esistere varie tipologie di avversione ai cibi. In particolare, gli autori di questa ricerca avevano indagato quali fossero le caratteristiche secondo le quali il bambino effettuava la scelta del cibo. I risultati evidenziavano che i bambini ASD utilizzavano i seguenti criteri:

  • 69% consistenza;
  • 58% presentazione;
  • 45% gusto;
  • 36% odore;
  • 22% temperatura.

Altri genitori, invece, osservavano come i figli fossero selettivi in relazione alla quantità del cibo presentato (abbondanti porzioni), al colore (esclusione dei cibi verdi, quali la pasta al pesto, piselli, broccoli) oppure rispetto alla forma del cibo, o alla confezione e la marca di alcune tipologie di alimento (Williams, Dalrymple & Neal, 2000).

Mentre la ricerca è cresciuta in tutti gli aspetti relativi al disturbo dello spettro autistico, ad oggi i dati disponibili hanno supportato solo l’uso di trattamenti farmacologici e interventi comportamentali o educativi. Inoltre, la maggior parte degli studi di controllo randomizzati è limitata: ciò è dovuto a campioni di piccole dimensioni o condotti con varie popolazioni e gruppi di studio, a causa di molte limitazioni (compresi gli effetti a lungo termine delle terapie e le possibili carenze nutrizionali come risultato della selettività alimentare a lungo termine). La ricerca futura dovrebbe essere progettata per identificare le terapie nutrizionali/mediche specifiche per i bambini autistici, con l’obiettivo di comprendere al meglio il legame tra ASD e nutrizione e determinare l’efficacia degli approcci terapeutici dietetici. Oltre a questo, sono presenti molteplici discrepanze e informazioni contrastanti per poter prendere in considerazione l’integrazione nutrizionale come approccio sicuro ed efficace per il trattamento dell’ASD. Sarebbe interessante integrare la letteratura che spazia in quest’ambito per fornire una visione d’insieme sulle possibilità d’intervento rivolte a migliorare la scelta alimentare, sulla base della sensibilità sensoriale e degli schemi comportamentali prefissati di questi bambini.

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